Cantautore è un termine che dovrebbe sostanzialmente indicare un artista che interpreta brani da lui stesso composti. Nel nostro immaginario comune questa parola assume però connotati ben più aulici, legati ad una fase storica ben precisa, che va all’incirca dagli anni ‘60 agli ‘80, caratterizzata da personaggi che sono entrati di diritto nella storia della musica italiana, personaggi che fanno ormai parte di una costellazione cristallizzata nel firmamento artistico italiano, come un’espressione musicale considerata pressoché inarrivabile.
IL PERICOLO DELL’IDOLATRIA
Vien da sé che quando un qualcosa è considerato inarrivabile inizia ad assumere contorni quasi sacri, religiosi. L’idealizzazione porta all’idolatria, l’idolatria all’emulazione acritica, ed ecco quindi migliaia di autori giovani e meno giovani che per ricalcare le orme di artisti del passato ne copiano lo stile, tralasciando ciò che davvero rendeva quei personaggi dei grandi Artisti, ovvero la capacità di creare qualcosa di nuovo.
Premi musicali e contest in tutto il Paese sono ancora oggi stracolmi di cloni a sei corde che esprimono il proprio racconto del mondo attraverso stilemi vecchi di 30 anni almeno, perdendo l’occasione di ricercare modi nuovi e nuove suggestioni.
DE ANDRÉ INNOVATORE
Andando ad analizzare il fenomeno del Cantautorato Italiano viene da farci una domanda importante: cosa avevano in comune questi artisti? Perché artisti apparentemente lontani tra loro dal punto di vista dello stile e della composizione vengono comunemente raccolti sotto lo stesso cappello?
Una chiave di lettura sta proprio nella propensione all’innovazione.
La risposta forse sta nel fatto che alcuni artisti, a partire dagli anni ‘60, hanno cominciato a raccontare il mondo in una maniera diversa, in controtendenza, in un modo assolutamente libero dalle influenze del presente come del passato, ed evolvendosi loro stessi per cercare sempre nuove forme espressive (almeno molti di loro).
Prendiamo ad esempio Fabrizio De André, quasi unanimamente considerato il più grande cantautore italiano e certamente tra i più emulati della storia musicale italiana.
In un mondo musicale italiano dominato dall’amore idealizzato e dalla cosidetta musica leggera, Faber ha raccontato gli ultimi, gli emarginati, i reietti, e lo ha fatto con una poetica che rispecchiava proprio l’oggetto del suo racconto, una poetica dissacrante, a volte cruda, sicuramente lontana dal conformismo. Ma non solo, l’ha fatto spesso attraverso uno strumento non proprio consono nell’Italia degli anni ‘60, il concept album, e mutando stilisticamente con il passare degli anni fino a quella boa che è Creuza de mä (1984) che è un po’ il simbolo dello spirito innovatore di De André.
E questo è sicuramente uno dei lasciti fondamentali dell’Artista Fabrizio De André agli aspiranti artisti di oggi, un lascito spesso ignorato e (nessuno si senta offeso) mortificato attraverso il tentativo di emularne lo stile.
PER TORNARE AI “FASTI DI UN TEMPO”
Quante volte abbiamo sentito invocare un ritorno ai “fasti di un tempo”, a un periodo sicuramente molto florido per la musica italiana dal punto di vista artistico come da quello discografico!?
Ebbene, oggi che stiamo vivendo un’importante crescita del mercato musicale, forse è arrivato il momento di imparare veramente dai grandi cantautori del passato, imparare a non copiarli, a svincolarsi da quei cliché e a guardare avanti, auspicando la nascita di un nuovo De André, non nello stile, ma nell’approccio.