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Cosa deve fare un manager secondo Massimo Bonelli

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Non è facile capire di cosa si occupi realmente un manager musicale. Ce lo spiega Massimo Bonelli, direttore generale di iCompany.


Personalmente ho sempre avuto un’idea piuttosto chiara di cosa fosse un manager.
Probabilmente non sono ancora riuscito ad imparare bene il mestiere, dovrò ancora macinare anni ed esperienze prima di diventare davvero bravo, ma l’idea di quali siano i compiti e le peculiarità di un manager credo di averle intuite tanti anni fa, quando, da musicista, mi fingevo anche manager della mia band (usavo anche uno pseudonimo per rendere credibile la cosa).

Ho iniziato a fingere di saper fare il manager intorno ai 25-26 anni, suonavo e portavo la croce negli Alibia. All’inizio nessuno ci dava retta e, fin da subito, mi sono improvvisato manager di me stesso. Quello che mi mancava all’epoca, però, era tutto quell’insieme di contatti e di conoscenze necessarie per poter capire chi fossero gli interlocutori migliori per il mio progetto, oltre ovviamente ad un bagaglio di esperienze che mi permettesse di parlare “alla pari” e con cognizione di causa con le altre persone che lavorano in questo settore.
Poi, un po’ alla volta, grazie ai tanti anni di trincea, agli sbagli, alle piccole grandi vittorie ed alle dure sconfitte, ho avuto la possibilità di farmi un’idea più completa dello scenario complessivo e di acquisire una certa riconoscibilità nell’ambiente, oltre alla dovuta considerazione da parte degli altri addetti ai lavori.

Credo che, oltre all’esperienza, l’elemento che non deve mai mancare nella cassetta degli attrezzi di un manager sia sicuramente la creatività.
È quello che fa la differenza tra l’essere un semplice manager tutor (che sostanzialmente si limita a gestire i suoi clienti artisti in maniera schematica e senza verve) e diventare un professionista in grado potenzialmente di dare una accelerata o, addirittura, una svolta concreta alla carriera di un artista.

Negli anni ho avuto la fortuna di conoscere e poter frequentare Francesco Barbaro, il manager di Max Gazzé, Daniele Silvestri, Carmen Consoli, Luca Barbarossa e molti altri ancora. Nelle tante chiacchierate condivise, Francesco mi ha dato spunti davvero utili per capire meglio questo mestiere. Barbaro è sempre riuscito a inventare qualcosa di nuovo attorno ai suoi artisti, ha proposto idee, trovato soluzioni sempre interessanti, a volte persino azzardate e rivoluzionarie.
Credo che spesso il successo di un artista non dipenda solo dalle sue capacità o dalla bellezza delle sue produzioni, ma anche da una serie di circostanze che ruotano attorno a lui.
Il ruolo del manager in questo senso è centrale, fondamentale. Tocca al manager riuscire ad essere lucido in ogni momento, saper guardare la situazione in modo oggettivo, dall’alto, e guidare poi l’artista verso la strada migliore da seguire, convincendolo che quella è la scelta più giusta in quel preciso momento.

Un bravo manager è in grado di dare un’impronta all’artista con cui lavora, di oleare gli ingranaggi, di facilitare i processi, di semplificare e alleggerire il percorso di un artista verso la sua reale identità, che è l’unica chiave in grado di far arrivare la sua musica ad un pubblico sempre più vasto.

Un manager può e deve fare la differenza: è colui che, grazie all’idea giusta al momento giusto, può davvero cambiare il corso della storia di un artista.

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