La cosiddetta canzone d'autore italiana ha storicamente da sempre avuto un forte legame con l'impegno politico e sociale.
Sarebbe superfluo iniziare a fare i nomi che fin da subito hanno caratterizzato questa impronta del folk, non solo nostrano, ma nel mondo.
Poi qualcosa si è perso all'improvviso e forse irrimediabilmente. L'imperante Pop ha infatti completamente assorbito in sé ogni pulsione di impegno e di attivismo, compreso – oggidì, da noi – il nuovo Pop proveniente dal vecchio circuito “indie”, molto più concentrato a parlare del proprio disagio che a guardarsi intorno. Della Trap è meglio addirittura non parlarne.
Però, in questi casi c'è sempre un però, un’eccezione che conferma la regola oggi a guardare bene qualcosa c'è, qualcosa, anzi qualcuno, è rimasto.
È lì, spesso sotto i nostri occhi, ogni tanto rispunta fuori in qualche post che attraversa la nostra filter bubble. Sappiamo che esiste, sappiamo che canta e che suona. E a pensarci bene, è anche l'unico che sta raccontando e descrivendo la situazione attuale italiana mettendola in musica.
Sto parlando “ovviamente” di Povia, l'ex enfant prodige della canzone leggera di stampo sanremese. La sua carriera la conosciamo tutti, ma è bene riassumerla: esplode nel Sanremo di Paolo Bonolis, anno 2005, fuori concorso, con l'ode ai buoni sentimenti de “I bambini fanno ooh...”, enorme successo commerciale che lo proietta l'anno successivo a vincere il Festival di Sanremo con “Vorrei avere il becco”. Sembra essere arrivato il nuovo De André, come lui stesso tende a definirsi (solo senza le capacità poetiche del Faber, ovviamente).
Poi qualcosa va storto. Si presenta a Sanremo nel 2009 con “Luca era gay”, (secondo posto, per inciso), controverso brano fatto a pezzi dalla comunità LGBT dove sembra quasi paventare l'idea di una possibile guarigione dall'omosessualità (anche se la stessa canzone furbescamente lo smentisce). La reazione di Povia è viscerale, irruenta, esasperata; corre ai ripari andando in TV - cercatelo su “Porta a porta” - urlando e sbraitando su casi clinici e possibilità di guarigione riconosciute da sedicenti medici. L'anno dopo, sempre a Sanremo, porta “La verità”, brano sulla storia di Eluana Englaro, che tende una mano verso posizioni pro-eutanasia (almeno sembra). Ma poco cambia, ormai il suo prendere posizione – qualsiasi essa sia – è troppo. Povia è praticamente estromesso da qualsiasi circuito mainstream nazionalpopolare. Tutto finito dunque?
Fortuna per lui siamo nell'epoca della comunicazione social ed ecco arrivare la nuova grande forma di intermediazione comunicativa della nostra epoca: Facebook.
Tra il 2012 e il 2013, Povia decide di iniziare a esternare le proprie posizioni politiche andando sempre di più verso una deriva populista, complottista, nazionalista e aggressiva nei confronti delle scelte del governo PD. Sulla sua pagina offre performance delle canzoni nuove del suo repertorio, senza più bambini né piccioni, ma con tematiche intorno il signoraggio bancario, invettive contro “chi governa il mondo”, contro i Savoia, contro le droghe leggere, e l'indimenticabile inno “Era meglio Berlusconi”, talmente caricaturale che risulta difficile prenderlo sul serio.
Tutto questo è solo per promuovere il suo album - autoprodotto - “Nuovo Contrordine Mondiale”?
No, al di là delle canzoni, Povia fa una cosa molto intelligente: inizia un dialogo serratissimo con i propri sostenitori a furia di video di commento all'attuale situazione politica italiana, a supporto del neonato governo giallo verde e in particolar modo della figura di Matteo Salvini, considerato unico eroe e “Salvatore della Patria”.
Questi video – chiamiamoli di “commento politico” – finiscono sempre con la richiesta di andare a suonare dal vivo, “a rimborso spese”, unendo e sovrapponendo quindi impegno sociale e attivismo militante politico con autopromozione, in un sistema che di fatto lo lancia come figura a tutto tondo di manager/ufficio stampa/agente di booking/influencer/analista politico/artista. Il caso di Povia non farebbe tanto riflettere se fosse una pagina di qualche autore minore o tanto meno amatoriale. Si sta però parlando di un ex beniamino della discografia italiana, vincitore di Sanremo, ben presente nell’immaginario collettivo del pubblico italiano (da vedere su YouTube la meravigliosa parodia a “Mai dire Gol”, potrebbe svoltare la vostra giornata più nera).
Perché allora questa storia è così interessante? Innanzitutto perché Povia sta facendo qualcosa che la canzone d'autore mainstream non ha mai fatto in Italia: parlare direttamente all'elettorato di destra, smarcando lo stereotipo che la canzone pop, o “d'autore” se si può intendere così, non possa essere orientata politicamente da quella parte politica. Infatti, probabilmente messo alle strette dalle proprie scelte discografiche, e autoriali, Povia si è trovato costretto in una nicchia che non soltanto ha deciso di abitare, ma di arredare e decorare nel suo personalissimo modo, diventandone l'emblema. Nessun altro al momento in Italia è così attivo e schierato come lui in questo momento, sempre presente sui social con una canzone, un messaggio per i suoi fan, di cui per inciso si tratta di oltre 200mila follower su Facebook. Valla a chiamare “nicchia”, adesso.
In tutto questo, la vera domanda è: ma che ne è stato dell'impegno nella musica e nelle canzoni degli autori, grandi e piccoli, nuovi e vecchi? È realmente la generazione del disimpegno? I social sembrano dimostrarci ormai come l'invettiva e la condivisione di contenuti di qualsiasi natura sia scontata, banalizzata, deresponsabilizzata. Siamo tornati in una dimensione del disimpegno e dell'allontanamento della realtà sociale circostante, come se non si volesse più sentire nulla a riguardo, già costretti a doverne leggere abbastanza.
Dove sono finiti gli autori che guidavano il pensiero e leggevano, quindi raccontavano, la società contemporanea? Perché siamo costretti a vedere esclusivamente Povia come impegnato (bisogna vedere poi da che parte), esporsi su tematiche che in realtà ci premono tutti ogni giorno? Forse ci serve in questo momento capire che la musica ha sempre avuto l'onere, anche non richiesto in realtà, di definire i tempi attuali. Nessuno pretende le marce in piazza al suono di una chitarra acustica, o i canti di protesta sotto i ministeri.
Non si parla di molotov o sit-in. Ma l'attuale desolazione e il costante allontanamento delle nuove generazioni, specialmente di autori, nei confronti della realtà circostante, nei confronti dei disastri umani che costantemente ci circondano, e l'assenza di interesse da parte del pubblico, la sua costante e totale assenza di spirito critico, la mancanza di voglia di farsi domande, è il desolante panorama dove un artista come Povia riesce ad acquisire nuovo pubblico insistendo proprio sugli aspetti più beceri, populisti, qualunquisti della vita sociale e della nostra società, quasi facendoci vedere in lontananza un proto-distopico futuro dove la comunicazione social, sempre più invettiva contro gli altri, è più importante della musica stessa. E dove il pop ha solo e soltanto la funzione di addormentarci, come ninne nanne leggere per depensanti.