“La Rete non è Che Guevara, anche se si finge tale”, cantava Caparezza in “Chi se ne frega della musica”.
Certo, Michele ha ragione, ma fino a un certo punto. Dobbiamo saper riconoscere e apprezzare alcune evoluzioni antropologiche, filosofiche e sociali che internet e i suoi figli hanno portato. Una su tutte, l’estensione delle proprie creazioni mentali: al giorno d’oggi un’idea può essere tangibile in pochissimo tempo, mentre prima richiedeva attese molto più lunghe.
Basti pensare al mondo del giornalismo, che si è andato a riplasmare in bolle sempre più diverse e osmotiche allo stesso tempo, come blog e forum online. O anche ai social network dedicati alle news, che hanno riconvertito alcuni dei lavori più famosi, come quello dell’ufficio stampa.
Insomma, il cambiamento è stato epocale. Questo ha decretato un proliferare di nuovi identikit artistici mai visti prima. Soffermiamoci per un attimo sui gameplayer: i nerd diventano un centro culturale di rilievo per il settore dei videogame, addirittura degli influencer per la promozione di nuovi contributi ludici arrivati sul mercato. Alcuni di loro diventano delle vere e proprie star di Youtube. Non più quindi solo giocatori, ma anche marketers, informatori, icone della pubblicità.
Il nodo centrale della questione è proprio questo: il settore. Perché, se prima esistevano dei paletti ben marcati che differenziavano le capacità artistiche, tali confini sono stati spazzati via. Bisogna essere poliedrici, partire da un contesto di riferimento per poi allungarsi in altri mondi, conoscendo almeno l’ABC di quelle professioni secondarie.
Tutto ciò ha investito anche la musica. Non parliamo di personaggi che hanno deflorato quest’arte in favore del trash più insensato, ma di progetti paralleli che hanno avanzato la propria macchia d’olio silenziosamente, ottenendo anche risultati egregi.
L’esempio più recente è Cartoni Morti, un disegnatore che, nel corso di pochi mesi, ha ottenuto l’attenzione del pubblico di Facebook e Youtube con i suoi video originali e dissacranti. Personaggio simbolo di Andrea Lorenzon (la persona dietro Cartoni Morti) è il sindaco di Lignano: potente e invincibile, con la passione per le tasse e le trafile burocratiche, in grado persino di fermare una guerra nucleare tra Trump e Kim Jong Un. E poi, spazio anche a Dragonball, Aladdin, Alessandro Borghese, il pagliaccio IT, video satirici sui vaccini e l’omeopatia: c’è n’è per tutti i gusti.
Tra le varie pubblicazioni, ci sono dei coraggiosi interventi musicali, che hanno permesso a Lorenzon di sfociare su Spotify. Al momento, il più celebre è “Ritmo Esentasse”, un brano tipicamente estivo, senza alcun dubbio un vero e proprio tormentone che porta con sé tutte le caratteristiche peculiari di una hit di stagione. Certo, Cartoni Morti ha dietro di sé un background teatrale, ma è molto significativo apprezzare come l’evoluzione tecnologica abbia permesso una commistione di generi incredibile. Poniamo l’attenzione anche agli altri due ‘singoli’ pubblicati dal progetto in questione: “Canzone sul mio gatto che mi rompe le palle” (sulle note di “Pop porno” de Il Genio) e “Riflettere sotto la doccia” (che assomiglia quasi un pezzo indie).
Siamo di fronte a un fenomeno. Perché, anche se non è un cantante o un musicista professionista, le qualità ci sono tutte, favorite dal contesto mediatico di internet. Probabilmente, trent’anni fa un cavallo di battaglia come Cartoni Morti non avrebbe visto neanche la luce, senza passaggi in radio, presenze in televisione e interviste sui quotidiani.
Siamo di fronte a un espediente per parlare di un universo ancora più ampio, visto che Andrea Lorenzon è in bella compagnia. Consideriamo, ad esempio, un suo collega artistico, Sio. Al netto delle collaborazioni musicali riconosciute (Piotta, Lo Stato Sociale ed Elio e le storie tese), anche il creatore di Scottecs si è cimentato autonomamente nell’incidere canzonette, come “Cactus su uno skateboard” e “Bau arf arf arf” (quest’ultima pubblicata sotto il nome di Young Cagnolino).
Allargando lo spettro visivo, ci sono altri personaggi che hanno ‘invaso’ la musica. Citiamo, ad esempio, i PanPers che, nel 2017, hanno pubblicato due singoli: “Ci mancano le basi” e “Un’altra estate è andata”. E loro nascono come un duo comico lanciato da Colorado e poi dalla piattaforma Youtube. O gli Autogol, speaker di Radio 105, che hanno messo in giro il tormentone “Baila come il Papu”. Anche se, in alcuni di questi casi, ci sono stati degli aiuti da parte dei professionisti della musica.
Dunque, internet ha cambiato le necessità del palco della musica. Certo, ci sono sempre stati tormentoni o fenomeni di passaggio, ma appartenevano sempre alla sfera dei professionisti di settore. Mentre oggi al centro del villaggio vengono messi artisti di vario tipo, che hanno anche solo una base di ciò che serve per incidere un qualunque singolo abbiano in mente. Ora come ora, è veramente difficile poter categorizzare ciò che gira in rete: possiamo definirla canzone perché c’è un artista di rilievo al suo fianco? Ma siamo di fronte a un pezzo radiofonico? Ma poi, è una vera e propria canzone?
Attenzione, non siamo qui a giudicare se sia un bene e/o un male. La nostra riflessione è circoscritta a ben altro, al cambiamento che stiamo attraversando da diversi anni, e che ha portato un grande potere agli utenti della Rete nella decisione di ciò che è musica, prima ancora che il mercato discografico possa pronunciarsi in merito.