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Di streaming in streaming

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In principio fu analogico Vs digitale… e se fosse diventato digitale gratuito Vs digitale a pagamento?

È notizia di questi giorni che Billboard, la più autorevole fonte di classifiche musicali del mondo, ha deciso di modificare i propri parametri in fatto di dati relativi allo streaming.

Sottolinea Rockit, a firma Sandro Giorello, che "come gli studi di settore ribadiscono ormai da anni, nel mercato discografico odierno la parte del leone la fa sicuramente lo streaming. Se oggi, quindi, si vuole avere il polso della situazione dei dischi più popolari, ma anche degli introiti guadagnati ogni anno dagli artisti, sono necessarie metriche sempre più accurate. Billboard, che da 80 anni è il riferimento più autorevole in materia di classifiche discografiche, ha deciso di analizzare ancora più a fondo la fruizione della musica online ponendosi l’obiettivo di calibrare ancora meglio i suoi conteggi."

Andiamo a leggere la notizia sul sito di Billboard e capiamo che, nell’ottica di restituire una situazione il più possibile reale sui consumi di musica, la rivista americana suddividerà ulteriormente le categorie di analisi dei dati, andando ad aggiungere categorie che vengono indicate come subscriptionstreams e ad-supportedstreams, ovvero differenziando la fruizione a pagamento da quella gratuita supportata dalla pubblicità, dando maggiore rilevanza alla prima rispetto alla seconda.

"Il passaggio ad un approccio di streaming multilivello - si legge - è un riflesso di come la musica è ad oggi consumata sulle piattaforme, migrando da un'esperienza on-demand ad una diversa selezione di preferenze di ascolto (incluse le playlist) e alle varie opzioni a cui un consumatore può accedere in base al suo impegno di sottoscrizione. La convinzione di Billboard è che l'assegnazione di differenti valori ai livelli di impegno del consumatore (insieme alla compensazione derivata da tali opzioni) rispecchia meglio l'attività degli utenti."

Una fruizione a pagamento (secondo Billboard) avrebbe quindi più valore rispetto a quella gratuita, se poi la sottoscrizione sia frutto di una differente consapevolezza nel consumo o semplicemente del desiderio di non sentire una pubblicità ogni 5/6 brani è un arcano più adatto alla psicanalisi, forse. Fatto sta che la musica in streaming ha certamente spostato gli equilibri di consumo.

Ci dice Francesco Prisco su Il Sole 24 Ore che "il 45% degli appassionati di musica dei 13 maggiori mercati mondiali utilizza sistemi legali di streaming, dato che sale addirittura all’85% se consideriamo la fascia d’età tra i 13 e i 15 anni. In Italia il 98% degli utenti attivi online ascolta musica tramite modalità in licenza, l’85% usa servizi di video streaming musicali, mentre il 46% degli utenti fa ricorso allo streaming audio. Questo il quadro d’insieme che si coglie leggendo il rapporto Connecting with music, curato da Ipsos Connect per conto dalla federazione mondiale dei discografici IFPI."

Una vera e propria rivoluzione musicale, senza contare che, come succede ciclicamente ad ogni rivoluzione musicale, il supporto condiziona anche il modo di comporre. Secondo Michele Boroni, su Wired, "internet e il digitale hanno completamente rivoluzionato il mercato e il modello di business musicale e discografico. Gli mp3, Napster, iTunes, l’accesso in opposizione all’acquisto, la playlist contro il disco e infine il grande successo dello streaming. Ma il cambiamento del formato e, soprattutto, della modalità di ascolto, ha modificato anche il modo di comporre le canzoni pop. Hubert LéveilléGauvin, dottorando di teoria musicale della Ohio State University, ha fatto uno studio, pubblicato su MusicaeScientiae, sull’evoluzione delle composizioni nell’arco di 30 anni. In pratica Gauvin ha analizzato le canzoni della top10 di Billboard dal 1986 al 2015, dimostrando come la disruption introdotta dalla fruizione della musica via YouTube e Spotify abbiano modificato anche i processi creativi che sono alla base della scrittura e della composizione della musica da classifica" dove l’eliminazione delle intro e il ritornello che arriva dopo 30 secondi per evitare lo skip sono gli aspetti più evidenti.

 

L’accesso in opposizione all’acquisto è esattamente la chiave di volta di questa rivoluzione e spiega senza possibilità di equivoco cosa sta succedendo al mercato discografico dal lato utente. Ed è proprio in questo periodo, almeno in Italia, che stiamo vivendo il vero ribaltamento del mercato, in cui Spotify e YouTube fanno esattamente quello che fino ad oggi hanno fatto radio e tv: veicolare il prodotto musicale alla massa. Internet è diventato (questa volta per davvero) un mezzo alternativo efficace per portare un artista alla ribalta del “grande pubblico”, basti pensare ad artisti come Coez o Ghali: fiumi di persone ai concerti senza passaggi televisivi.

Una rivoluzione che forse mette la definitiva parola “fine” sul supporto fisico, che mantiene un senso e una dignità solamente nel possesso, laddove l’accesso ha sostituito l’acquisto, il possesso (come d’altronde il collezionismo) resta insostituibile, ed ecco quindi tornare a crescere il mercato del vinile. Ma questa - come diceva Michael Ende - è un’altra storia.

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