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Abbiamo perso la “vergogna” del Pop

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Vedendo quello che è accaduto nella musica italiana nell’ultimo decennio, sembra che lo scarto più grande sia quello compiuto nei confronti della musica pop.

Non fraintendetemi: amo il pop e le canzoni di disimpegno da 3 minuti e via con la prossima. Ma per chi ha superato i 30 anni non c’è bisogno di dirlo: fino agli anni ’90 e con il nuovo millennio, se volevi fare musica “seriamente”, il pop era il nemico da osteggiare e da combattere.

“La tara artistica e mentale di chi si muove in Italia è pesante: il mondo della musica è spaccato tra chi fa pop (e come dicevano i primi Afterhours, Pop kills your soul) e chi fa musica diversa.

Matteo Cantaluppi: È una generazione che ha vissuto in parte gli anni Novanta e ti dovevi vergognare se volevi vendere i dischi. A differenza dei miei compagni di classe nerd, io ascoltavo anche il pop. Ho sempre ascoltato tanta musica, anche estrema, però non disdegnavo il pop. O comunque capisco che se tu fai un prodotto pop, lo hai fatto anche per venderlo.”.

(da “Era Indie – la rivoluzione mancata del nuovo pop italiano”, R. De Stefano, Arcana, 2019)

 

ALTERNATIVI DEI ’90 CONTRO IL POP DEI ‘10

Il confronto/scontro tra oggi e ieri verte proprio su quanto i nuovi artisti – grandi o piccini che siano – si accostino sempre con maggiore facilità nei confronti del pop, abbracciandone il leggero disimpegno e la facilità di suono. In un mondo che sembra via via accantonare il rock, e dove il rap ha preso la strada comoda e leggera della trap, una certa “crisi dei contenuti” sembra palese.

"Michele Montagano: Prima era tutto diverso. Più si era avanguardisti estremi, meglio era. […] Erano anni in cui la parola “pop” faceva paura. Se ti piaceva Tiziano Ferro o Cesare Cremonini, ti vergognavi. Adesso, invece, sono ritornati in auge, riqualificati, come culto ossessivo del passato."

(da “Era Indie – la rivoluzione mancata del nuovo pop italiano”, R. De Stefano, Arcana, 2019)

Non che ci sia nulla di male nel pop, come detto all’inizio, che anzi serve a parlare a molte persone, e che si dimostra uno dei generi più difficili da fare bene. Né tantomeno che manchino le produzioni alternative o vicine alla canzone d’autore e impegnata, con tanti artisti di valore che riescono ancora a tirare fuori non solo dei lavori bellissimi, ma ricchi di contenuto.

 

LA VERGOGNA DEL POP

Quella che sembra venuta meno è “la vergogna del pop”: nel bene o nel male però sembra essersi esaurita quella verve generazionale (soprattutto nei più giovani) di volersi distanziare dalla facilità di linguaggio del pop. Complice anche il successo di molte delle produzioni degli ultimi anni, e visti i nomi che sono stati capaci di ridisegnare l’orizzonte discografico italiano di questi anni (come dicevamo nell’articolo sulla #scenaromana), sempre di più i giovani autori tentano la facile strada di questo nuovo pop italiano.

C’è da fare sicuramente un discorso generazionale: noi millennial e i nostri fratellini della cosiddetta “generazione z” siamo scivolati sempre di più nell’indifferenza e nell’alienazione, un po’ per colpa della piega politica degli ultimi 20 anni, un po’ per colpa dei nuovi media e della comunicazione e un po’ per colpa nostra. Certo che se la musica racconta la società che ci circonda, allora è più facile, anche qui da noi, cantare di mezzi panini sotto il cielo di Berlino o di piatti lavati con lo Svelto.

Si potrebbe certo dire che è il segno dei tempi, e che una certa poeticità pervade comunque anche i lavori apparentemente più leggeri e disimpegnati. Manca però quel collante generazionale, quel mondo della sottocultura o della controcultura che ti permetteva di sentirti appartenere a qualcosa, a qualcuno.

"Enrico Molteni: Mi dispiace un pochino che si sia perso quello spirito iniziale, che noi continuiamo ad avere come Tre Allegri e come Tempesta, di un briciolo di ricerca in più rispetto a quella che può essere più una sorta di riproposizione di uno standard che si sa che funziona. Non che sia facile fare delle canzoni pop, perché so che non è così.”

(da “Era Indie – la rivoluzione mancata del nuovo pop italiano”, R. De Stefano, Arcana, 2019)

 

ARE THE TIMES CHANGING?

E qui un paradosso: una nuova musica è possibile solo con l’avvento di una nuova contro/sottocultura? O una nuova musica permette l’avvento di una nuova contro/sottocultura? Prima l’uovo o la gallina?

Il decennio degli anni ’10 è passato e ha avuto il suo peso e la sua importanza. Il nostro canzoniere pop si è allargato e ha accolto molti nuovi brani che potrebbero restare nell’immaginario collettivo per tanto tempo. E benché, come detto, anche l’ambito della canzone d’autore, rock e alternativa abbia avuto i suoi protagonisti, manca il cosiddetto “nuovo che avanza”, la ventata di freschezza generazionale capace di parlare ai propri coetanei (e non più over 30).

Forse, visto l’attuale andazzo del Mondo, sulla lama di rasoio del razzismo, dei nazionalismi, della crisi ambientale e delle pulsioni sempre più forti contro il sempre più sporco sistema mondiale occidentale, potrà essere lo stimolo per tornare a raccontare qualcosa di più profondo negli attuali anni ‘20, senza smettere di continuare a fare grande pop. Chissà se “i tempi stanno per cambiare”, come diceva quel famoso cantautore.

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